BOLOGNA - Continuavano a incassare affitti a Montecchio Emilia dagli inquilini di un palazzo posto sotto sequestro e somme di denaro sottratte all'amministrazione giudiziaria. E' l'accusa che la Dda di Bologna, con i pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, ha mosso ai parenti di due imputati nel processo di 'Ndrangheta 'Aemilia', Palmo e Giuseppe Vertinelli, imprenditori del Reggiano di origine calabrese, entrambi detenuti. Nei confronti di Antonio Vertinelli, 31 anni, figlio di Giuseppe, il gip Alberto Ziroldi ha disposto i domiciliari, misura eseguita dai Carabinieri del Ros di Roma e del comando provinciale di Reggio Emilia. Indagati e perquisiti anche un fratello e un cugino dell'arrestato. Si tratta di una delle prime applicazioni di un articolo del codice antimafia, posto a tutela dell'amministrazione giudiziaria: lo sviluppo investigativo nasce dalla segnalazione della sottrazione di beni da parte proprio dell'amministratore giudiziario. I carabinieri hanno eseguito inoltre 2 decreti di perquisizione con contestuale notifica di informazione di garanzia emessi a carico di altri due giovani, un 30enne a Montecchio Emilia e un 26enne che abita a Crotone, entrambi figli di Palmo Vertinelli (53 anni), anch'egli detenuto per associazione mafiosa nell’ambito del procedimento Aemilia.
REGGIO EMILIA - Sono 1.300 i testimoni accolti dal collegio giudicante del processo di 'ndrangheta "Aemilia", che nei prossimi mesi sfileranno nell'aula del dibattimento di Reggio Emilia. Molti nomi noti erano già trapelati al momento della presentazione delle liste da parte della pubblica accusa, delle parti civili e delle difese: la maggior parte sono stati confermati.
Come testimoni, quindi, sfileranno in aula il ministro Graziano Delrio, i calciatori Leonardo Bonucci e Claudio Marchisio, chiamati dalla difesa del collega Vincenzo Iaquinta curata dall'avvocato Carlo Taormina. Ammessa anche la testimonianza dell'onorevole Carlo Giovanardi. Sono invece state rigettate le richieste di sentire i ministri Angelino Alfano e Andrea Orlando, per non spettacolarizzare troppo il processo. Intanto gli avvocati difensori e la Procura hanno sollevato il problema del calendario di udienze troppo fitto, ma il collegio ha confermato l'udienza di venerdì, quando si cominceranno a sentire i primi testimoni dell'accusa.
Sono stati oltre 300 gli anni in totale inflitti con l’abbreviato (prevede un terzo di sconto della pena), per il processo Aemilia, il terremoto giudiziario che il 28 gennaio 2015 portò all’arresto di 117 persone tra politici, giornalisti e imprenditori reggiani, accusati a vario titolo di aver avuto contatti o di aver preso parte alla cosca ’ndranghetistica che faceva riferimento al boss di Cutro Nicolino Grande Aracri.
Le singole condanne sono arrivate fino a 15 anni. Si è concluso così ieri a Bologna il processo in rito abbreviato di 'Aemilia': 71 imputati tra cui quasi tutti i punti di riferimento della 'ndrangheta emiliana legata alla cosca Grande Aracri, nel mirino della Dda di Bologna. Il Gup Francesca Zavaglia ha letto la sentenza dopo 7 ore di camera di consiglio nell'aula a porte chiuse. Abbassate in generale le richieste dei Pm. Assolto il consigliere comunale Fi a Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, prosciolto l'ex assessore Pdl di Parma Giovanni Paolo Bernini.
Tra le condanne spiccano queste quelle di Alfonso Diletto a 14 anni; di Pino Giglio (il pentito che ha iniziato a collaborare alcune settimane fa) a 12 anni; 12 anni anche per Francesco Lamanna; altri 12 anni per Antonio Gualtieri; 14 anni ad Antonio Silipo; 12 anni a Romolo Villirillo. Nicolino Grande Aracri – che secondo l’inchiesta della Dda di Bologna è il punto di di riferimento della ‘ndrina in Emilia – è stato condannato a 6 anni e 8 mesi per diversi reati tra i quali però non c’era l’associazione mafiosa.
REGGIO EMILIA - Si riparte oggi con la seconda udienza del dibattimento "Aemilia". Verranno infatti discusse le ammissioni di ben 42 parti civili contro i 147 imputati del procedimento per mafia. L'udienza è iniziata alle 9 di questa mattina nell'aula bunker di Reggio Emilia, allestita in tutta fretta nel cortile del tribunale di via Paterlini. Qui, hanno sfilato decine di avvocati, le parti offese e una parte degli imputati.
Tra le richieste come parti offese figurano sindacati, Enti locali e associazioni, decise a chiedere giustizia a suon di azioni risarcitorie record per svariati milioni di euro. Ad esempio, il solo Comune di San Felice ha chiesto un maxi-risarcimento da 25 milioni di euro. Su 147 imputati del procedimento 34 sono accusati di associazione mafiosa. Oggi sono tenuti dietro le sbarre delle gabbie allestite nell'aula sorvegliata 24 ore su 24 dall'Esercito e dalle forze dell'ordine. L'accesso è regolato con identificazione e passaggi al metal detector.
ROMA - «Ora basta, Delrio deve dimettersi immediatamente da ministro e deve essere assolutamente ascoltato dalla Commissione antimafia come il M5S chiede da mesi». Lo dichiarano i parlamentari M5S della Commissione Antimafia dopo che le parlamentari M5S Giulia Sarti e Maria Edera Spadoni hanno confrontato «le dichiarazioni del ministro ai Pm di Aemilia del 17 ottobre 2012 con delibere, atti di giunta e voti del consiglio comunale di Reggio Emilia in quei mesi e anni quando Delrio era sindaco».
«Perché in quella occasione il ministro dichiarò di non sapere che la sua dirigente all'urbanistica Sergio fossa nativa di Cutro (Crotone), cosa che tutti sapevano a Reggio Emilia dal momento che Delrio la nominò di suo pugno e visto che ci sono due delibere della sua Giunta del 29 novembre 2004 e del 22 dicembre 2009 dove il luogo di nascita della dirigente è pure scritto nero su bianco?" chiedono i parlamentari M5S in Antimafia. "Ma soprattutto, a domanda del magistrato Pennisi sulle parentele della stessa con persone originarie di Cutro che svolgano attività imprenditoriale nel settore edilizio, Delrio dichiara di non saperne nulla».
«E' Poco credibile - continuano i parlamentari M5S in antimafia - Perché il 23 luglio dello stesso anno (2012) il Consiglio comunale di Reggio votò un piano dei parenti della Sergio, con due atti su tre firmati dalla stessa dirigente all'urbanistica, come denunciato sulla stampa locale la scorsa settimana, e una terza firma di Massimo Magnani, dirigente di massima fiducia di Delrio e parente, seppur lontano, dello stesso ministro allora sindaco e presidente Anci". "A prova di quel conflitto d'interesse di cui Delrio non poteva non sapere, il capogruppo Pd Vecchi, marito della Sergio correttamente si astenne in consiglio il 23 luglio 2012" concludono i parlamentari M5S».
BOLOGNA - Giuseppe Giglio, imputato nel processo di 'Ndrangheta Aemilia in corso a Bologna, non sarà sottoposto a interrogatorio nell'udienza del rito abbreviato. Il Gup Francesca Zavaglia ha infatti rigettato l'istanza dell'imprenditore calabrese, da poche settimane divenuto collaboratore di giustizia.
La richiesta era stata fatta nella scorsa udienza dal nuovo difensore, avvocato, Luigi Li Gotti, che aveva prodotto i verbali con le trascrizioni delle sue prime dichiarazioni, fatte dopo la scelta di collaborare.
Secondo quanto si apprende il giudice, nell'ordinanza letta nell'aula a porte chiuse, avrebbe rigettato la richiesta di interrogatorio di Giglio, non ravvisando l'assoluta necessitá di assunzione della prova ai fini della decisione.
Contro l'accoglimento dell'istanza si erano espressi i difensori di alcuni imputati, tra cui gli avvocati, Gaetano Insolera e Tommaso Guerini.
Nella loro replica, i pm hanno confermato la richiesta di 20 anni di carcere per il collaboratore di giustizia. Non avrà quindi nessun sconto di pena perché è stata respinta anche in questo caso la richiesta di Li Gotti che aveva fatto istanza per il riconoscimento della attenuante speciale prevista per la collaborazione. I pm si riservano forse di decidere se chiedere o meno il riconoscimento dell'attenuante al momento dell'appello con ogno probabilità.