Reggio Emilia, regia dei cutresi sull'inchiesta ''Minefield'': business da 30 milioni
REGGIO EMILIA Finanzieri e Carabinieri di Reggio Emilia hanno eseguito un’operazione di polizia giudiziaria (Minefield) che vede coinvolti 108 soggetti indagati, di cui 26 facenti parte di un’associazione a delinquere, e 81 società, per numerose ipotesi delittuose, in prevalenza nel settore fiscale.
Dall’alba di questa mattina, circa 350 militari tra finanzieri del Comando provinciale di Reggio Emilia e di altri Reparti, nonché del Servizio centrale investigativo sulla criminalità organizzata (Scico) e militari dell’Arma dei carabinieri del locale Comando provinciale, nell’ambito di un’articolata e complessa attività investigativa, coordinata dalla Procura della Repubblica emiliana diretta dal procuratore Calogero Gaetano Paci, hanno dato esecuzione a 15 misure cautelari eseguite, di cui 5 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 7 misure degli arresti domiciliari, un obbligo di dimora e 3 misure interdittive, di cui due nei confronti di professionisti.
Si è reso necessario anche un arresto in flagranza per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto rinvenuti durante una perquisizione 18 chilogrammi di hashish e 4 di marijuana. Sequestrati anche preziosi ed orologi di valore.
Le condotte poste in essere dall’organizzazione criminale sono emerse all’esito di complesse attività di indagine (sviluppate dai militari del Gruppo Guardia di finanza e della Compagnia carabinieri di Reggio Emilia), che hanno evidenziato operazioni di infiltrazione nel tessuto economico regionale e conseguente gestione criminale, con influssi sull’intero territorio nazionale, ad opera del sodalizio, condotte da soggetti calabresi originari di Cutro, professionisti calabresi e campani, soggetti nativi di Reggio Emilia ed altri originari della Provincia di Foggia.
Le attività d’indagine hanno fatto emergere come il core business criminale fosse legato in misura prevalente alla commissione di reati tributari, mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, con una costante crescita dei cosiddetti “utilizzatori”, coinvolti nell’articolato sistema di frode fiscale; l’organizzazione ha, inoltre, gestito un imponente giro d’affari nel più ampio settore delle prestazioni di servizi, quali cantieristica e manutenzione di macchinari industriali e pulizie, oltre che nel settore del noleggio di autovetture e di commercio all’ingrosso.
Nello specifico, il meccanismo fraudolento prevedeva la creazione di società cartiere o l’acquisizione di società realmente esistenti poi destinate alla emissione di fatture false, che venivano intestate a soggetti principalmente prestanome, che agivano sotto le direttive loro impartite dai capi dell’organizzazione. Venivano quindi individuate ditte compiacenti utilizzatrici delle Foi, i cui titolari effettuavano bonifici pari all’importo delle fatture ricevute sui conti correnti riferibili alle società del sodalizio, denaro che successivamente veniva - sia attraverso numerosi prelievi giornalieri, sia attraverso bonifici o emissione di assegni - riconsegnato agli stessi fruitori delle fatture emesse per operazioni inesistenti, al netto della percentuale stabilita per il “servizio”.
Oltre ai reati fiscali i sodali avrebbero altresì commesso numerosi altri delitti, quali l’estorsione, il riciclaggio ed auto-riciclaggio dei proventi illecitamente ottenuti, nonché bancarotta fraudolenta, indebita percezione di erogazioni pubbliche ed appropriazione indebita.
Nel corso delle attività d’indagine, i militari hanno scoperto come il sodalizio criminale abbia posto in essere anche sistemi di frode al welfare statale, mediante la richiesta e la percezione illecita dell’indennità di disoccupazione Naspi, per un valore di circa 60.000,00 euro, mentre continuavano illecitamente a porre in essere le proprie attività criminose ed a gestire il proprio giro d’affari; alcune delle “società cartiere” hanno altresì fatto indebitamente ricorso ai contributi pubblici stanziati durante l’emergenza pandemica da Covid-19, per un importo di circa euro 72.000,00.
Nel corso delle investigazioni, è stato ricostruito anche il sistema di riciclaggio internazionale utilizzato dall’organizzazione in molti casi: infatti, i proventi illecitamente ottenuti venivano fatti confluire attraverso un sistema di scatole vuote prevalentemente verso il territorio Bulgaro; da qui, il denaro veniva inviato su ulteriori conti esteri o monetizzato, per essere poi reintrodotto fisicamente in Italia.
In altri casi, l’organizzazione criminale, per “ripulire” il denaro illecitamente ottenuto e reintrodurlo nei circuiti dell’economia legale nazionale, lo reinvestiva nell’acquisto di diamanti o preziosi ovvero in autovetture di lusso, acquistate in territorio austriaco e poi noleggiate sul territorio reggiano, attraverso società riconducibili all’organizzazione.
L’attività investigativa svolta dalle Fiamme Gialle ha consentito di ricostruire il provento derivante dal reato di “emissione di fatture false”, ottenuto dall’associazione a delinquere, per un valore di circa 4.000.000,00 di euro e l’importo dell’imposta evasa da 69 società, risultate essere le maggiori utilizzatrici delle “fatture false”, per un importo di oltre 6.000.000,00 di euro.
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