La Giustizia sotto l'ombrellone: tra riforme, drammi e futuro professionale
Il Senato ha dato il suo "sì" alla riforma costituzionale, con 106 voti favorevoli, 11 astenuti e 61 contrari. Ora il testo passa alla Camera per il terzo dei quattro passaggi previsti

CROTONE Eccoci qui, finalmente! Il sole ci bacia, la sabbia scotta e l'aria profuma di salsedine. L'ombrellone è piantato e la mente, per una volta, sembra voler staccare la spina da fascicoli, udienze e codici. Ma si sa, per noi addetti ai lavori, la giustizia è come l'ombra del nostro ombrellone: ci segue ovunque, anche in vacanza. E allora, tra un tuffo e l'altro, perché non fare due chiacchiere "da spiaggia" sui temi che stanno animando il mondo legale?
Partiamo da una notizia che ha fatto vibrare le corde del sistema giudiziario per decenni, e che ora, complice il caldo estivo, sembra voler prendersi il suo tempo: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.
Per anni ne abbiamo discusso, tra favorevoli e contrari, tra chi la vedeva come la panacea di tutti i mali e chi un pericoloso attentato all'indipendenza della magistratura. Ebbene, ora è realtà... o quasi!
Immaginate la scena: per anni, un magistrato poteva essere oggi un giudice che decideva le sorti di un imputato e domani un pubblico ministero che lo accusava. Un po' come se l'arbitro di una partita potesse, nel turno successivo, indossare la maglia di una delle due squadre. L'idea di fondo è semplice: garantire una maggiore terzietà e imparzialità del giudice, separando nettamente chi giudica da chi accusa.
L'ultima puntata di questa lunga serie l'abbiamo vista proprio martedì 22 luglio, quando il Senato ha dato il suo "sì" alla riforma costituzionale, con 106 voti favorevoli, 11 astenuti e 61 contrari. Un bel passo avanti, direbbe qualcuno, ma la strada è ancora lunga e tortuosa, come una passeggiata sulla battigia sotto il sole cocente.
Ora il testo passa alla Camera per il terzo dei quattro passaggi previsti dall'articolo 138 della Costituzione. Dovranno passare almeno tre mesi prima della seconda lettura in Parlamento.
E qui, tra un gelato e l'altro, ci si chiede: passerà davvero?
Per evitare il referendum confermativo (ipotizzato già per la tarda primavera del 2026), la riforma dovrebbe essere approvata nella seconda votazione da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi dei suoi componenti. Un quorum, diciamocelo, che sembra più difficile da raggiungere di un ombrellone libero ad agosto!
La Premier Meloni l'ha definita un passo avanti verso un "triplice obiettivo": garantire il giusto processo, disarticolare il sistema correntizio del Csm e restituire dignità ai magistrati. L'opposizione, invece, si è lamentata della rapidità del voto, sostenendo che un testo così importante avrebbe richiesto più tempo e riflessione.
E noi avvocati penalisti? Beh, per noi la separazione delle carriere è un obiettivo storico
L'Unione delle camere penali italiane ha persino creato il comitato "Camere penali per il sì" per promuovere la riforma in vista del probabile referendum, perché quando si tratta di giustizia i penalisti sonon sempre in prima linea.
Ma cosa cambia concretamente, al di là dei tecnicismi? La riforma modifica l'articolo 104 della Costituzione, aggiungendo che la magistratura «è composta da magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente». E come conseguenza, avremo due distinti organi di autogoverno (addio Csm unico!), entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica, con membri estratti a sorte e una nuova Alta corte disciplinare. È una riforma che promette di riscrivere le regole del gioco, ma come ogni grande cambiamento, richiederà tempo per assestarsi e mostrare i suoi veri effetti.
Sarà la svolta che tutti attendiamo? Solo il tempo ce lo dirà.
Di certo, è un passo storico che ci terrà col fiato sospeso almeno fino alla prossima primavera, quando - salvo sorprese - la parola potrebbe passare ai cittadini con il referendum confermativo. Intanto, tra un voto parlamentare e l’altro, resta il fatto che questa riforma ha riacceso il dibattito pubblico sulla giustizia come poche altre volte negli ultimi anni.
E forse è proprio questo lo spunto più prezioso: tornare a parlare di giustizia, anche fuori dalle aule, anche sotto l’ombrellone. Perché se è vero che la riforma costituzionale riguarda l’architettura del sistema, è altrettanto vero che ci sono aspetti della giustizia che parlano direttamente alla nostra coscienza civile.
Uno su tutti? Un tema ben più duro, difficile persino da nominare mentre si è in vacanza: la piaga dei suicidi in carcere
I numeri continuano a essere drammatici, un grido silenzioso che ci interroga sulla dignità umana e sulle condizioni di detenzione. Ogni vita persa dietro le sbarre è una sconfitta per tutti noi, un segno che qualcosa non funziona nel nostro sistema. In questo contesto, è stata approvata una riforma che stanzia ingenti fondi per la costruzione di nuove carceri.
La domanda sorge spontanea: è davvero questa la soluzione? Costruire più muri risolverà il problema di chi, tra quelle mura, perde la speranza?
Certo, strutture più moderne e meno sovraffollate sono un passo necessario. Ma il problema dei suicidi è molto più profondo: riguarda la salute mentale dei detenuti, la mancanza di percorsi riabilitativi efficaci, il senso di abbandono e disperazione che può annientare una persona.
Non basta aggiungere posti letto se non si investe contemporaneamente in personale specializzato (psicologi, educatori), in attività trattamentali e in un vero progetto di reinserimento. Le nuove carceri possono essere un'opportunità, ma solo se diventano luoghi di recupero e non semplici contenitori di sofferenza. Altrimenti, rischiamo di costruire solo prigioni più grandi, ma con le stesse, drammatiche, ombre.
E proprio mentre si investe (giustamente o meno) nel mattone penitenziario, ci si accorge che sta franando qualcosa alle fondamenta della nostra stessa professione: le nuove generazioni si tengono sempre più lontane dalle aule universitarie di giurisprudenza. Un altro campanello d’allarme, diverso ma altrettanto serio.
È solo una questione di mercato? O c’è in gioco qualcosa di più profondo, come una crisi vocazionale?
La professione forense è affascinante, ma anche estremamente impegnativa. Richiede dedizione, sacrifici e una costante sete di conoscenza. Se i numeri diminuiscono, forse è il momento di riflettere su come rendere la nostra professione più attrattiva e sostenibile per le nuove generazioni.
E a proposito di giovani, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà dei giovani avvocati. Spesso si trovano a fare i conti con compensi bassi e una precarietà che non sempre ripaga gli anni di studio e i sacrifici fatti. Entrare nel mondo del lavoro, per un giovane avvocato, diventa sempre più una vera odissea. È un problema che riguarda tutti noi, perché sono loro il futuro della nostra professione.
Dobbiamo trovare il modo di garantire loro un ingresso dignitoso e prospettive concrete, affinché il sogno di fare giustizia non si trasformi in un incubo economico
Insomma, siamo in estate ma la giustizia non va in vacanza. Le riforme avanzano, i problemi persistono e la nostra professione si evolve. È un momento di grandi sfide, ma anche di grandi opportunità. Forse, proprio in questi momenti di apparente relax, possiamo trovare la lucidità per riflettere, confrontarci e immaginare una giustizia migliore, più umana ed efficiente.
Poi, ognuno torna al suo ombrellone, alle chiacchiere leggere, al rumore del mare.
Ma certe cose restano dentro, anche in silenzio.
E mi chiedo se questa ostinazione a parlarne, anche adesso, non sia già una forma di giustizia. Piccola, imperfetta, ma ancora viva.
Aldo Truncè avvocato