Dylan Dog Speciale 39 “Ai confini del crepuscolo”
Neve e silenzi su Londra: nello speciale di Bilotta e Mari, Dylan Dog affronta il gelo morale del nostro tempo.

È uscito in edicola il 23 settembre lo speciale n. 39 di Dylan Dog, intitolato “Ai confini del crepuscolo”. Pubblicato da Sergio Bonelli Editore, l’albo è firmato da Alessandro Bilotta per soggetto e sceneggiatura, con i disegni di Nicola Mari e la copertina realizzata da Emiliano Tanzillo.
L’avventura di Dylan si apre con lo sfondo di un’inattesa nevicata, perfino per Londra, settembrina; metafora probabilmente dell’assenza di sentimenti e umanità che caratterizza quasi tutti i personaggi, comprimari e non, presenti nell’episodio.
Il gelo affettivo, il tradimento, anche per il Sommo Poeta Dante rappresentavano la colpa suprema, quella che non può essere condonata e rende gli uomini privi di autentico spirito vitale perché privi di anima e di coscienza e quindi orbi di anima. I nostri tempi materialisti e inneggianti al cinismo e all’arrivismo, al disprezzo dei deboli possono alienarci e disumanizzarci molto più indelebilmente di mutazioni genetiche da laboratorio o arcani sortilegi. L’umanità è a un bivio e Dylan lo ha capito benissimo. I disegni di Nicola Mari sono veramente interessanti perché oltre alla consueta alternanza di taglienti chiaroscuri cui siamo abituati nelle storie dylaniane qui si avvicendano con buon impatto grafico linee nette fortemente stilizzate, come rasoiate, alla tondeggiante sofficità della neve, che ricopre tutto, a volte pietosamente, ma non basta a celare con il nitore l’oscurità dei meandri umani.

Bilotta sembra volerci ricordare che il male non ha più bisogno di creature mostruose per manifestarsi: è l’indifferenza quotidiana, la sordità morale, il calcolo spietato a tradire l’essenza dell’uomo. La nevicata, allora, non è soltanto un accidente meteorologico, ma un sipario che cala sulla speranza, un manto che soffoca il calore dei rapporti e il senso stesso di comunità. In questo contesto Dylan appare come un viandante stanco, ma non rassegnato, un testimone che si aggira tra le rovine interiori dei personaggi con l’ostinazione di chi ancora cerca un frammento di verità. La scrittura di Bilotta, rarefatta e quasi aforistica, amplifica la sensazione di trovarsi in un limbo, sospesi fra la vita e il sogno, fra l’attesa e la disfatta. Mari, con il suo segno riconoscibilissimo, traduce sulla pagina questo senso di sospensione, facendo del bianco della neve e del nero degli abissi l’alfabeto visivo di una parabola sulla nostra contemporaneità. Ne deriva un albo che non solo intrattiene, ma interroga, e che conferma Dylan Dog come una delle poche voci del fumetto italiano ancora capaci di parlare con urgenza al nostro presente.

Romanticamente gotica, la copertina di Emiliano Tanzillo si rivela un prologo visivo all’orrore interno dell’albo: un teatro di statue pietrificate si staglia sulle lapidi del cimitero, sotto un cielo che rifrange la neve di macchie cremisi. Il bianco, così puro, s’insinua di rosso — un simbolo di sangue versato, passione tradita o colpa incancellabile. Dylan e Abby sono sospesi in primo piano, avvolti dal cappio, figura ossimorica che unisce apparente romanticismo e condanna inevitabile. La tomba di Abby, che occupa uno spazio osservazionale, getta un’ombra di fatalità, mentre il volto pensoso di un angelo — forse protettore, forse accusatore — contempla la scena con occhi silenziosi.