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Decreto Dignita', un gruppo di ex dipendenti della Abramo scrive al ministro Di Maio: «Bisogna controllare ''scappatoie''»

Posted On Martedì, 15 Gennaio 2019 19:03 Scritto da

abramo ministro dimaio«Signor ministro, vogliamo iniziare questo accorato appello sulla situazione in cui versano i dipendenti che da anni (o da mesi, poco importa) hanno legato la propria storia lavorativa all'azienda “Abramo Customer Care” di Crotone, con una chiara premessa: la dignita' dei lavoratori non è il vessillo di nessun partito/movimento politico, ma la conditio sine qua non perché uno Stato possa considerarsi civile». Inizia così una lettera che alcuni ex dipendenti della “Abramo customer care” di Crotone hanno rivolto al ministro del Lavoro Luigi Di Maio e alle parlamentari Cinquestelle Elisabetta Barbuto e Margherita Corrado.
«Non staremo qui a scrivere – sottolineano gli ex dipendenti – che le rappresentanti elette nel Collegio di Crotone, e appartenenti al suo stesso movimento, dovrebbero essere le prime portavoce del nostro dramma lavorativo; o che le istituzioni locali sono e sono sempre state totalmente assenti; e non scriveremo nemmeno che i sindacati sono stati finora pressoché eterei: non scriveremo nulla di tutto ciò perché non ne facciamo una questione politica ma una questione sociale. Ciò che accade alla Abramo Customer Care di Crotone è l'emblema del precariato che uccide, purtroppo non solo metaforicamente, generazioni di lavoratori in una città dal tasso di disoccupazione e di “disperazione sociale” senza eguali in tutta Italia.
Sì, “disperazione sociale”. Non vogliamo farle credere che, fuori dall’azienda, ci sia gente con i forconi in mano. Qui la gente, semplicemente, non ha speranza lavorativa e quindi sociale. Vista da fuori, o da chi non ha interesse a guardare meglio, l'azienda, con sedi in Italia e nel resto del mondo, occupa, solo in Calabria, più di un migliaio di giovani, madri e padri di famiglia. Dei quattro siti presenti nella nostra regione, quello di Crotone rappresenta il primo polo. “Ad avercene!” verrebbe da dire! Vero. Peccato, però, che si parli ancora di contratti a progetto. No caro ministro, i Cococo non sono spariti; semplicemente ora vengono chiamati “Lap”. Oppure, nella migliore delle ipotesi, di contratti a tempo determinato, la cui durata massima è stata ridotta dal famigerato “Decretò dignità” nella misura di 24 mesi con la modifica dell'art. 19 comma 1 del D.Lgs. 81/2015. E' apprezzabile, in valore assoluto, il tentativo di ridurre il precariato diminuendo il tempo di sfruttamento di un lavoratore sotto contratti a termine; ma, accanto a questo, mancano i controlli sulle scappatoie che le aziende riescono a mettere in atto.
Ovviamente, non è nostra intenzione, visto che non ne abbiamo le competenze (siamo solo operatori, anzi, ex-operatori di un call center), sostituirci ad un ministro del Lavoro e iniziare un'orazione su cosa vada bene o cosa non vada bene nel mercato del lavoro italiano; vogliamo solo raccontarle la nostra storia.
Come anzidetto, la Abramo Customer Care di Crotone annovera tra le proprie fila un numero importante di Lap. In un mondo del lavoro normale, in base ad un criterio chiaro (merito? anzianità?) il lavoratore aspira ad una deprecarizzazione del proprio status; dunque, un Lap aspira ad un contratto a tempo determinato. Ora, che visione del proprio futuro possono avere dei lavoratori di un'azienda che per anni non vedono migliorare la propria situazione lavorativa? Sì, parliamo di anni; in alcuni casi, quasi di un decennio come lavoratori a progetto: per costruire la Tour Eiffel sono bastati 2 anni.
L'azienda, nel frattempo, ha assunto a tempo determinato tantissimi lavoratori, i quali hanno prestato la propria opera per 36 mesi non consecutivamente, seguendo la precedente previsione normativa; ha usufruito, e usufruisce tutt’oggi, di “stagisti”, pagati per l'80% dalla Regione Calabria, e, talvolta, utilizza un'agenzia interinale per ricontrattualizzare dipendenti che hanno ormai, o quasi, superato il limite di rinnovi contrattuali previsto dalla legge.
Ultimo, ma non ultimo, l’azienda ha inteso proporre ad ex dipendenti con contratto a tempo determinato scaduto, che hanno prestato la propria opera lavorativa per soli cinque mesi e, dunque, ancora ampiamente contrattualizzabili secondo la normativa vigente, e che provenivano da forme di contratto ancora più precarie (Lap), un rientro a condizioni peggiorative, sottoscrivendo nuovamente un contratto a progetto.
In questa lussuria di scappatoie ed escamotage, ovviamente, di assunzioni a tempo indeterminato nemmeno l'ombra da oltre dieci anni, fatta eccezione per pochi “fortunati”. Ma, nonostante i dipendenti conoscano perfettamente i meccanismi contrattuali precarizzanti che porta avanti l’azienda, firmare un contratto a tempo determinato, sebbene di pochi mesi, diventa un traguardo vero e proprio. Per tutti significa “speranza”, “progetti”, “futuro”. Ben sapendo che, nella migliore delle ipotesi, saranno solo 24 mesi di contratto. In realtà, negli ultimi tempi, sono tanti i dipendenti, con contratto a tempo determinato scaduto, che hanno visto il loro rapporto con l’azienda interrompersi senza proroghe, senza raggiungere nemmeno lontanamente il “limite” di 2 anni previsti dal “Decreto dignità”.

 

Pare non ci sia lavoro. Ma, prima di non rinnovare questi contratti, l’azienda negli ultimi mesi ha contrattualizzato un centinaio di stagisti (pagati con soldi pubblici). E qui il dubbio sorge spontaneo: trattasi di incapacità dei vertici dell’azienda nell’organizzare e programmare i volumi di lavoro? O è un vero e proprio sistema adottato per risparmiare sulla pelle dei lavoratori? Nel primo caso, consiglieremmo all’azienda di rivedere le posizioni ai propri vertici piuttosto che quelle dei dipendenti precari. Nel secondo caso, vorremmo che qualcuno facesse chiarezza.
Intendiamoci: non è un reato. L’imprenditore ha questa possibilità grazie alla legge italiana. Se può pagare un nuovo lavoratore “2€” grazie agli aiuti dello Stato, perché mai deve rinnovare il contratto ad uno che gli costa “10€”? Così come non è reato utilizzare dipendenti di un’agenzia interinale, sebbene possa apparire una mossa utile a non superare le percentuali di contratti a tempo determinato rispetto ai quelli a tempo indeterminato, consentite dal Ccnl.
Già. Perchè è vero che il Decreto Dignità ha alzato dal 20 al 30% il numero complessivo di contratti a tempo determinato che possono essere stipulati dalle aziende con più di 5 dipendenti, ma è anche vero che queste percentuali sono ben lontane dalla realtà della Abramo Customer Care.
Non vogliamo suggerirLe che, forse, sarebbe più equo limitare o impedire del tutto l’uso di alcune forme contrattuali e sgravi fiscali alle aziende che impiegano tali istituti al solo fine di sostituire lavoratori già impiegati con altri che “costano” semplicemente meno. Come non vogliamo suggerirle che necessiterebbero controlli semplici e banali su quanti dipendenti, quanti interinali, quanti contratti a progetto e quanti stagisti vengono utilizzati nell’azienda. Non è di nostra competenza.
Probabilmente sarebbe di competenza dei sindacati di categoria, che avrebbero dovuto vigilare e tutelare i lavoratori; i sindacati, invece, in maniera poco lungimirante, hanno consentito in tutti questi anni l’entrata di innumerevoli nuove risorse divenute poi precarie e assoggettate ai dictat dell’azienda. In questo momento il nostro appello, la nostra richiesta, è una sola: vogliamo che venga riconosciuta la nostra dignita’ di lavoratori.
Le chiediamo, Signor Ministro, di intervenire con decisione per avere, dall’Azienda Abramo Customer Care, le dovute risposte in merito alla sorte di tutti noi lavoratori “sostituiti” da chi ha meno diritti di noi, da chi “costa” meno di noi, da chi, domani, sarà nella nostra stessa situazione. Come vede, il motto “uno vale uno” ha molteplici sfaccettature. Nel ringraziarLa per il tempo dedicatoci, restiamo in attesa di un Suo pronto intervento. Con ossequi. Gli ex dipendenti della Abramo Customer Care di Crotone».

 

 

 

 

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