Nota amara per il "superpoliziotto" Cortese: condannato nel caso Shalbayeva
Confermata nell'appello bis la sentenza di condanna di primo grado a Perugia, lo sfogo: «La mia carriera forse avrebbero meritato un minimo di rispetto»
ROMA C'è Renato Cortese, il responsabile della Sezione catturandi che arrestò Bernardo Provenzano nel 2006, dato tra i 'papabili' al ruolo di capo della Polizia. E Maurizio Improta, attuale presidente dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. Sono i nomi illustri tra i cinque poliziotti che oggi si sono vista confermata la condanna a cinque anni per sequestro di persona in relazione al caso Alma Shalbayeva - moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov - espulsa nel 2013 insieme alla figlia Alua. Gli altri tre sono Luca Armeni, Francesco Stampacchia e Vincenzo Tramma. Chi li ha sentiti li definisce "profondamente amareggiati".
Confermata nell'appello bis la sentenza di condanna di primo grado a Perugia ma con parziale riforma dell'interdizione dai pubblici uffici da perpetua a 5 anni. L'accusa è di sequestro di persona in relazione a irregolarità nelle procedure di espulsione. Il pg di Firenze Luigi Bocciolini aveva chiesto l'assoluzione. La parte civile aveva chiesto la condanna per tutti e il risarcimento.
Nel 2014 iniziò il processo a Perugia, dove furono rinviati a giudizio cinque funzionari di polizia tra cui l'ex capo della squadra mobile Renato Cortese e il dirigente dell'ufficio immigrazione Maurizio Improta. Nel primo grado di giudizio furono condannati con pena da 4 a 5 anni per sequestro di persona e interdizione dai pubblici uffici.
In appello a Perugia gli imputati vennero assolti con formula piena, con la motivazione che "il fatto non sussiste". Successivamente la Cassazione annulla l'assoluzione e dispone un nuovo processo.
Nel processo bis a Firenze la Corte d'Appello conferma le condanne di primo grado per cinque poliziotti, con pene tra 4 e 5 anni, considerando l'operazione una violazione dei diritti umani e un sequestro di persona. Viene tuttavia ridotta da perpetua a 5 anni l'interdizione dai pubblici uffici
.Quando sembrava che il risveglio da quello che considerano "un incubo lungo dodici anni" fosse ormai vicino - con la richiesta di assoluzione da parte della procura - la condanna di oggi è arrivata come "una mazzata inaspettata". Cortese, 61 anni, calabrese originario di Santa Severina (Kr), investigatore di razza, era in rampa di lancio quando incappò nell'affaire Shalabayeva. Approdato a Roma - capo della Squadra mobile - dopo l'impegno contro mafia e 'ndrangheta e gli arresti eccellenti prima a Palermo e poi a Reggio Calabria, sembrava pronto per ruoli sempre più rilevanti.
Il blitz nella villetta del latitante kazako ha segnato una battuta d'arresto nella carriera. Che, però, negli ultimi anni era ripresa. Questore di Palermo, poi direttore dell'Ufficio centrale ispettivo del ministero dell'Interno, nel 2023 viene nominato prefetto. Diventa quindi direttore centrale delle Specialità della Polizia di Stato, carica che ricopre tuttora. È anche presidente del Premio Borsellino.
"Credo che tutta la mia vita e tutta la mia carriera forse avrebbero meritato un minimo di rispetto", ha lamentato in dichiarazioni spontanee rese durante il processo. L'altro condannato celebre - all'epoca era il capo dell'ufficio immigrazione della questura di Roma - è il 63enne Maurizio Improta, napoletano, dallo scorso anno presidente dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. Dopo lo stop del 2013 è stato nominato questore ed è stato nominato responsabile nazionale della Polizia ferroviaria. Si stringono a tutela dei colleghi i sindacati delle divise. Per il segretario dell'Associazione nazionale funzionari di polizia, Enzo Letizia, i cinque agirono "nell'esclusivo adempimento dei loro doveri istituzionali tanto che è la stessa Procura ad affermare che l'espulsione fu eseguita in modo legale".
Sulla stessa linea il segretario del Coisp Domenico Pianese: "vengono condannati come se fossero stati loro i decisori, mentre chi ha avuto responsabilità di livello superiore liquida tutto parlando di 'irregolarità procedurale', come fosse un semplice inciampo burocratico". (ANSA)

